La scommessa del governo per provare ad alleviare le ferite economiche della pandemia è la seguente: far partire i nuovi «sostegni» entro 20 giorni, subito dopo Pasqua, e completare l’accredito degli aiuti entro la fine di aprile.
Per centrare l’obiettivo, complicato dalla lunga gestazione del decreto che arriverà in consiglio dei ministri venerdì, i tecnici dell’amministrazione finanziaria hanno messo a punto una piattaforma telematica chiamata a gestire in tempi strettissimi la corsa delle domande che si annuncia imponente. I nuovi parametri, che cancellano i confini stretti fissati dai vecchi elenchi dei codici Ateco per aprire le porte degli aiuti a tutte le partite Iva con fatturato 2019 fino a 10 milioni di euro e una flessione di almeno il 33% nel 2020, abbraccerebbero quasi tre milionni di attività economiche (fra cui 800mila professionisti; Sole 24 Ore di ieri).
Dati e platea che hanno obbligato la Sogei a costruire ex novo il sistema telematico per le istanze. A differenza di quanto accaduto con i «Ristori» di fine 2020, ancorati al parametro delle perdite di aprile e quindi erogati in automatico, gli interessati dovranno infatti presentare una domanda all’agenzia delle Entrate, autocertificando il possesso dei requisiti che danno diritto all’assegno statale (o, su opzione, al credito d’imposta dello stesso valore, da utilizzare subito in compensazione con F24). Anche questa volta l’accredito dovrebbe arrivare entro 10 giorni dalla domanda; e i controlli mirati per cogliere eventuali dichiarazioni false saranno successivi.
Proprio l’esigenza di tagliare i tempi dell’attuazione ha impegnato il lavoro tecnico sul testo, che nella costruzione e selezione delle norme ha privilegiato quelle che non hanno bisogno di un apparato attuativo troppo complesso. L’altra urgenza è stata quella di raccogliere risorse intorno ai 32 miliardi di deficit approvati a gennaio, che si sono presto rivelati insufficienti alla bisogna.
Ostacoli per ora insormontabili hanno per ora bloccato l’idea di trasformare in spesa anche i 5,2 miliardi del fondo istituito dal decreto «Ristori 4» con l’obiettivo di cancellare parte dei pagamenti fiscali sospesi nel 2020. Ma un conto è bloccare pagamenti dovuti, altro è decidere una spesa con risorse che non sono ancora state incassate: ipotesi, quest’ultima, impossibile per le regole contabili peraltro dopo l’ulteriore stretta sul criterio di competenza finanziaria imposta dagli ultimi aggiornamenti Eurostat.
La caccia alle risorse si è rivolta quindi agli stanziamenti ancora non spesi e nascosti nelle ormai ben conosciute «pieghe del bilancio». In queste pieghe si celavano anche alcuni dei bonus ideati l’anno scorso ma rimasti confinati alla carta della «Gazzetta Ufficiale». Sull’altare dei nuovi «sostegni» dovrebbe cadere fra l’altro l’aiuto su misura dei commercianti che operano nei Comuni turistici sedi di santuari religiosi, creato dal comma 87 dell’ultima legge di bilancio, e quello per gli operatori con sede nei centri commerciali. Anche queste categorie, in pratica, riceveranno i contributi che saranno misurati dal meccanismo generale.
Caratteristica centrale di questo nuovo sistema è la base di calcolo per gli aiuti rappresentata dalla perdita mensile media di fatturato 2020 rispetto al 2019, moltiplicata per due. Per esempio, con una flessione annuale da 120mila euro, il parametro di riferimento sarebbe di 20mila euro (i 10mila di media mensile raddoppiati). A questa somma si applicherebbero le percentuali di aiuto in un ventaglio fra il 30% per i fatturati 2019 fino a 100mila euro e il 10% per quelli fra 5 e 10 milioni.
Questo sistema, oltre a contenere i costi per la finanza pubblica che sarebbero enormi se il parametro fosse agganciato all’intero calo di fatturato annuale, è stato pensato anche per appianare il più possibile gli effetti di stagionalità degli incassi che erano stati ignorati dal criterio secco legato al solo aprile 2020. Anche così, però, rischiano di emergere gruppi consistenti di «esodati» dai sostegni: perché non sono pochi i casi di operatori che nel 2019 sono stati fermi per qualche mese perché impegnati in ristrutturazioni o ampliamenti della loro attività. In questi casi, il raffronto 2020-2019 non dice nulla. E anzi produce l’effetto paradossale di escludere dai sostegni proprio chi è stato colto dalle chiusure anti-Covid già affaticato dagli investimenti appena effettuati.