“Il sole 24 Ore” di Cristiano Dell’Oste e Giovanni Parente 13 novembre 2018
Le prime comunicazioni delle Entrate sono arrivate la scorsa settimana. Promuovono la pace fiscale e suonano così: «Qualora la S.V.sia interessata a beneficiare degli istituti deflattivi di cui al Decreto legge n. 119/2018, questo Ufficio è a Sua completa disposizione per fornire ogni chiarimento utile a consentirLe la definizione del citato avviso di rettifica e liquidazione». Linguaggio formale ma obiettivo chiaro: ricordare a chi ha ricevuto avvisi di accertamento o altri atti la chance di chiudere i conti con il Fisco tramite «il pagamento delle sole imposte dovute senza applicazione di interessi e sanzioni», come ricorda una Direzione provinciale, in una di queste comunicazioni.Potrà sembrare una fretta eccessiva, ma non è così. Martedì 13 novembre, per la pace fiscale c’è la prima scadenza da “dentro o fuori”, cui seguirà quella di venerdì 23 novembre. Sono le date entro le quali è chiamato alla cassa chi, entro il 24 ottobre scorso, rispettivamente ha sottoscritto ma non perfezionato un’adesione all’accertamento oppure si è visto notificare un avviso di accertamento o un avviso di rettifica non ancora impugnato e impugnabile (si veda il grafico). Ma sarà davvero così? Tra le righe degli emendamenti presentati in commissione Finanze al Senato, dove si trova ora il decreto fiscale (Dl 119/2018), spunta l’ipotesi di un allungamento dei termini. Così i cittadini e le imprese si trovano di fronte all’ennesimo cubo di Rubik tributario: come affrontare un termine dichiaratamente perentorio e fissato per decreto, che scade prima del termine per la conversione dello stesso decreto legge? La questione è tutt’altro che teorica. Chi ha ricevuto una lettera come quella delle Entrate deve decidere se pagare subito o – al contrario – se rinviare la scelta sperando in una riammissione ex post. Scelta rischiosa, ma in alcuni casi inevitabile, ad esempio per carenza di liquidità.